La diffusione dell’antibiotico-resistenza avviene, come è noto, principalmente attraverso la trasmissione orizzontale di elementi genici che portano specifici meccanismi di resistenza genomica e la selezione e/o propagazione di ceppi resistenti. Sebbene l’uso inappropriato degli antibiotici sia la principale forza selettiva alla base dell’aumento dell’antibiotico-resistenza, altri fattori possono entrare in gioco nel favorirne la trasmissione e diffusione.
Un team multidisciplinare di epidemiologi del Boston Children’s Hospital e dell’Università di Toronto ha studiato la correlazione tra il clima, inteso come temperatura locale, e la differenza di resistenza agli antibiotici che si realizza nelle diverse regioni geografiche degli Stati Uniti. Lo studio, recentemente pubblicato su Nature Climate Change, ha inoltre valutato come le caratteristiche locali, quali la densità di popolazione, i tassi di prescrizione degli antibiotici, le popolazioni di pazienti specifici e gli standard di laboratorio, influiscono sulle differenze osservate nei modelli di resistenza antimicrobica.
Il team ha assemblato un enorme database di informazioni relative all’antibiotico-resistenza di Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae e Staphylococcus aureus provenienti da dati di sorveglianza documentati tra il 2013 e il 2015 negli Stati Uniti. Complessivamente il database comprendeva oltre 1,6 milioni di patogeni batterici clinicamente rilevanti che provenivano da 223 strutture e 41 Stati. L’analisi ha evidenziato che un aumento di 10°C della temperatura minima attraverso le regioni era associato ad un aumento della resistenza agli antibiotici del 4.2%, 2.2% e 2.7% per E. coli, K.pneumoniae e S.aureus rispettivamente. Omettendo la penicillina dall’analisi per S.aureus, l’aumento della temperatura minima era associata ad un aumento della resistenza del 5,1%. L’analisi degli effetti della prescrizione di antibiotici sulla resistenza per penicilline, cefalosporine, fluorochinoloni e macrolidi ha evidenziato che l’aumento della prescrizione era associato all’aumento della resistenza per tutti gli antibiotici valutati, verso tutte e tre le specie di patogeni in studio. La relazione tra temperatura minima e uso di antibiotici, invece, non subiva cambiamenti in base ai tassi di prescrizione. Osservando la densità della popolazione, inoltre, il team ha scoperto che un aumento nella densità di popolazione di 10.000 persone per miglio quadrato era associato al 3% e 6% di aumento di resistenza agli antibiotici per E.coli e K.pneumoniae rispettivamente. La resistenza agli antibiotici di S.aureus non sembrava, invece, essere significativamente influenzata dalla densità di popolazione.
I potenziali meccanismi alla base dell’associazione osservata tra resistenza antimicrobica e temperatura non sono chiari, ma tra le diverse ipotesi proposte la principale supporta l’idea che la temperatura faciliti il trasferimento genico orizzontale. A sostegno di questa tesi, il fatto che i Paesi europei alle latitudini meridionali hanno una maggiore incidenza di infezioni da Enterobatteri produttori di ESBL (extended-spectrum beta-lactamase), ciò è stato generalmente attribuito all’uso eccessivo di antibiotici ed alla pressione selettiva, ma i fattori climatici, inclusa la temperatura, potrebbero avere una influenza positiva.
Se la relazione tra la temperatura minima e la resistenza agli antibiotici esistesse, come dimostrerebbe questo studio, ed aumentasse nel tempo, ciò potrebbe favorire una progressione più rapida verso una “era post-antibiotica”. I risultati di questa analisi suggeriscono, infatti, che in presenza di cambiamenti climatici e crescita della popolazione le attuali già preoccupanti previsioni sull’impatto della resistenza agli antibiotici sulla salute globale potrebbero essere significativamente sottostimate.
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